Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XXI – 11 maggio 2024.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Ictus cerebrale: IC87201 attenua i danni
cerebrali. Per effetto di danno eccitotossico
dipendente dai recettori del glutammato NMDA, l’ictus ischemico distrugge in
modo grave ed esteso i neuroni dell’ippocampo e causa disturbo
mnemonico. Mohammadian e colleghi hanno
sperimentato il composto IC87201, un PSD95/nNOS
inibitore, ottenendo un miglioramento istologico del danno che segue l’ischemia
cerebrale e un miglioramento della dismnesia causata dall’ictus. [Cfr. Neurochem Res. – AOP doi: 10.1007/s11064-024-04140-w, 2024].
Un circuito della vasopressina modula
comportamenti sociali e ansiosi di più nei maschi.
Una delle maggiori differenze tra maschi e femmine nel cervello dei vertebrati
è costituita dal maggior numero di cellule a vasopressina nel nucleo
del letto della stria terminale. Rigney e
colleghi con l’inibizione optogenetica hanno dimostrato che questi neuroni sono
necessari nel maschio del topo per controllare l’esplorazione sociale; l’eccitazione
accresce il comportamento esplorativo solo lievemente nelle femmine. L’eccitazione
delle loro proiezioni al setto laterale accresce ricerca sociale e
comportamenti ansiosi solo nei maschi. [Cfr. PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2319641121,
2024].
La scoperta di cellule “attacco o fuga” nella
lampreda rivoluziona l’evoluzione. Gli Agnati,
vertebrati acquatici privi di mascella e mandibola come la lampreda, sono da
sempre stati considerati privi di cellule nervose in grado di innescare la risposta
a corto circuito: fight or flight response o
reazione di attacco o fuga. Su questa base, si è ritenuto fino a oggi
che questo meccanismo cruciale per la sopravvivenza degli animali e bene
studiato in mammiferi, rettili, pesci e uccelli, fosse apparso molto più
tardivamente nella filogenesi. Un nuovo studio ha scoperto un sistema nervoso
periferico delle lamprede molto più complesso e simile a quello umano, con un
sistema nervoso autonomo che contiene anche neuroni simpatici per questa
reazione. [Fonte: Claudia Lopez Lloreda – Science News,
7 maggio 2024].
Individuati i prodotti del muscolo striato
stimolato che agiscono sul cervello. È noto che il muscolo
scheletrico produce importanti molecole e vescicole chiamate esosomi, che
agiscono sui neuroni del cervello, ma il modo in cui il segnale nervoso
attraverso la giunzione neuromuscolare controlla la secrezione del muscolo non
è noto. Kai-Yu Huang e colleghi hanno colmato questa
lacuna. Le fibrocellule muscolari, stimolate dal rilascio di ACh, secernono
alti livelli dell’ormone irisina e producono esosomi che
contengono vari microRNA cargo. Questi fattori derivati dal muscolo promuovono
la crescita di connessioni neuroniche, accrescono la trasmissione
del segnale lungo gli assoni e migliorano la comunicazione tra
cellule cerebrali. [Cfr. PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2313590121, 2024].
Orango scoperto a medicarsi una ferita
con un’erba antinfiammatoria e antidolorifica. Abbiamo riferito
di scimpanzé che mettono insetti sulle proprie ferite, ma non era mai accaduto una
cosa simile, ossia osservare un orango nel suo ambiente naturale trattare una
propria ferita con un’erba medica. L’osservazione è di biologi del Max Plank
Institute of Animal Behavior (Germania) e dell’Università
Nazionale dell’Indonesia: hanno ripreso un maschio di orango di Sumatra che
aveva riportato una ferita al volto, mentre mangiava e applicava ripetutamente
sulla superficie lesa parti vegetali di una pianta medicinale (Fibraurea tinctoria)
con proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche, tradizionalmente usata come
erba medica.
L’osservazione è stata condotta nella
foresta pluviale di Suaq Balimbling
(Indonesia) dove vivono circa 150 oranghi di Sumatra. L’intenzionalità e la
specificità sono confermate da almeno due fattori: rarissimamente questi
primati mangiano vegetali; l’orango ferito cospargeva con una specie di succo (la
fibra della liana masticata e insalivata) e altre parti vegetali, solo ed
esclusivamente la ferita, in un’operazione che ogni volta durava molto tempo. [Fonte:
Max-Planck-Gesellschaft e ScienceDaily,
maggio 2024].
Scoperto un modo impensabile di
comunicare del cetaceo beluga. Il beluga, un grande
cetaceo delfinoide (Delphinapterus
leucas) impropriamente chiamato “balena bianca”,
comune nei mari del nord e il cui capo è sormontato da un curioso e voluminoso organo
adiposo detto “melon”,
è stato studiato da Justin Richard e colleghi, registrando le immagini delle
interazioni di quattro esemplari nel Mystic Aquarium
del Connecticut. Per la prima volta è stato possibile documentare, con un vasto
repertorio di curiose e piacevoli immagini definite dagli autori dello studio “visual
encyclopedia”, delle espressioni dei cetacei create
mediante cambiamenti del grosso e mobile melon:
per l’azione dei muscoli sul tessuto connettivo, il beluga può spingere il
melone in avanti fino a farlo sporgere come fosse la visiera di un cappello,
può afflosciarlo e appiattirlo giù sul capo, può sollevarlo verticalmente come
un cappello a cilindro arrotondato e, infine, può scuoterlo con una forza tale
da farlo apparire di gelatina.
Justin Richard sottolinea quanto sia evidente
in questi segnali il richiamo dell’attenzione e, parlando della scoperta ad
Elizabeth Anne Brown di Science, paragona questi cambiamenti di forma al
fare la ruota del pavone. Ma, come abbiamo visto, non si tratta di un unico e
semplice segnale attrattivo. Alle cinque principali conformazioni conferite al
melone, i ricercatori hanno dato il nome di flat,
lift, press, push e shake,
e hanno rilevato che durante l’interazione sociale i beluga mostrano una media
di due conformazioni al minuto. Dalla pubblicazione preliminare del 2 marzo su Animal
Cognition, agli autori dello studio è parso
evidente che le cinque forme espressive costituiscono rappresentazioni comunicative,
ma non si aveva alcun dato sperimentale per discriminare con certezza tra due
possibilità: 1) si tratta di manifestazioni automatiche e involontarie dello
stato emozionale interno dell’animale; 2) si tratta dell’equivalente di gesti
intenzionali eseguiti a scopo comunicativo.
Richard sottolinea un dato che fa pendere
nettamente la bilancia a favore della seconda possibilità: il 93% di esibizioni
delle 5 conformazioni ha luogo quando i cetacei sono in vista l’uno dell’altro.
È stato avviato il tentativo di
decodificare il significato delle rappresentazioni, ma si è solo all’inizio: le
due configurazioni press e shake sono sicuramente associate al
corteggiamento e al comportamento sessuale, mentre per flat
e le altre i tentativi sono finora rimasti infruttuosi: le stesse cinque configurazioni
potrebbero essere solo la punta emergente di un iceberg di combinazioni e
gradazioni con valore significativo. Richard, Lilley
e gli altri, dopo aver sottolineato che la vasta gamma di vocalizzazioni che
vanno da fischi a click sono valse a questi cetacei il soprannome di “canarini
del mare”, hanno annunciato che si propongono di verificare se esistono
interazioni e combinazioni tra le emissioni sonore e la “mimica del melone”.
Noi abbiamo trovato la visione del video
annesso allo studio molto stimolante: le differenti forme assunte dal melone
sono molto evidenti e i beluga sembrano assumere espressioni sorridenti e
divertite, a causa della particolare conformazione dell’apertura orale. Infine,
Richard e colleghi hanno verificato i risultati ottenuti dall’osservazione dei
quattro esemplari nel Mystic Aquarium su una
popolazione di 51 beluga al Marine Land Canada in Niagara Falls, ottenendo
piena conferma. [Fonte: Science – ScienceNews (Animal
Cognition 01843-z, 2024), maggio 2024].
L’alligatore emblema della pet
therapy antidepressiva fuggito o rapito in vacanza.
Apparso su TikTok ha fatto il giro mediatico del mondo il video di un uomo in
lacrime che chiedeva di restituirgli Wally, l’alligatore che lo aveva aiutato a
superare un profondo stato depressivo. Joie Henney e il rettile da lui ottenuto dopo un salvataggio a
14 mesi di età, nel 2015 in Florida, e definito dal suo medico “alligatore di
supporto emozionale” erano molto popolari negli USA per i video diffusi
attraverso i social media. Henney era andato
in vacanza in Georgia e, durante la notte, Wally è scomparso dal recinto posto
all’esterno del suo appartamento. Ora, il Georgia Department of Natural Resources ha segnalato che un alligatore è stato trovato e “rilasciato
in un luogo lontano”, ma che non si sa se fosse Wally. [Fonte: The Associated
Press, May 2024].
Cosa vuol dire la mancanza di un
pensiero che rappresenti la coscienza del valore vissuto di stare al mondo. È
stata proposta l’idea di un confronto tra le filosofie dell’Età di Pericle e i
sistemi di pensiero contemporanei. Sulle prime, al nostro Seminario sull’Arte
del Vivere, è parsa una provocazione stridente con la realtà e, particolarmente
al presidente, è sembrata una traccia non in linea con i risultati della riflessione
maturata in tutti questi anni di elaborazione dialettica e meditata, fra l’altro
seguendo un principio che ci è caro, ossia di cercare radici psico-antropologiche
alle origini di tesi filosofiche e fenomeni sociali.
Ma poi, l’idea è stata più chiaramente
formulata in questo modo: nella filosofia del tempo di Pericle troviamo una
chiave per interpretare l’attuale orizzonte che segue la crisi dell’epoca
post-moderna: mettere a fuoco proprio ciò che oggi ci manca di quelle dispute tra
idealisti e materialisti, di quelle tesi proposte a fondamento della vita del
singolo e della visione della realtà, ci può aiutare a comprendere il danno
che il difetto di pensiero genera sull’estensione della coscienza individuale e
collettiva. In poche parole, ci può fornire per contrasto una migliore comprensione
coscienza del presente. Lo stesso presidente, dichiarando di sentirsi molto più
a suo agio con questa formulazione della traccia tematica di riflessione, ha
incoraggiato la presentazione dei materiali di riferimento e l’esposizione
delle tesi dei soci.
Qui riassumiamo, in particolare, gli
spunti tratti dalla relazione di Monica Lanfredini, con le considerazioni
conclusive discusse e condivise dai soci.
L’Età di Pericle come epoca della
coscienza risvegliata dal pensiero. Non è un caso che il
periodo della storia greca cui ci riferiamo fu definito “tempo dell’esperimento
democratico”, ossia periodo in cui vigeva un sistema di governo che, almeno nel
nome, corrispondeva al nostro e favorì la pluralità delle scuole di pensiero e
delle visioni del mondo. Ma Percy Bysshe Shelley scrisse: “Il periodo che
intervenne tra la nascita di Pericle e la morte di Aristotele è senza dubbio –
sia considerato per sé stesso sia con riferimento agli effetti che ha
determinato nei susseguenti destini dell’uomo civile – il più memorabile nella
storia del mondo”[1],
mentre noi stentiamo a trovare elementi memorabili nel tempo presente.
Accantonando il problema di quanto la differenza antipodica tra i “secoli d’oro”
della cultura e un periodo di stasi involutiva come quello attuale sia reale e
quanto sia dovuto alle pratiche distruttive e di occultamento del talento e del
valore proprio delle nostre società, focalizzate in modo esclusivo sulle
attività sostenute da grandi profitti economico-finanziari, seguiamo lo spunto
secondo cui rilevare ciò che oggi manca rispetto al modello di quell’epoca
trasmesso dagli storici ci consente di avere un’idea più chiara del presente.
Will Durant scrive: “L’Età di Pericle
somiglia alla nostra per la varietà e il disordine del suo pensiero e per la
sfida che essa lanciava a ogni tradizione e a ogni credenza”[2]. E
qui cessa l’analogia, perché l’aspetto caratterizzante è costituito dall’insuperato
numero di idee filosofiche, di interpreti di quelle idee, di occasioni
pubbliche di esposizione, discussione, dibattito e insegnamento di dottrine,
tesi e ipotesi che investivano ogni aspetto della vita, dalle esigenze dello
spirito in rapporto al credere negli dei alle necessità del corpo, dal rispetto
delle leggi al valore dello stato, dai rapporti tra classi sociali alla
solidarietà col povero, con lo straniero, con lo schiavo, con i diseredati e
coloro che erano fisicamente impossibilitati a procurarsi da vivere. In quest’epoca
troviamo il nucleo di origine di tutte le principali correnti di pensiero che
hanno animato, appassionato e agitato il mondo fino a oggi.
Ma l’aspetto fondamentale è che, se non
tutti i giovani si facevano allievi di un filosofo per apprendere l’arte del
vivere, tutti i cittadini erano interessati agli argomenti trattati dai
filosofi e alle loro opinioni. Le idee della politica non erano che un pallido
riflesso della filosofia, e chi aveva idee bene strutturate e capacità di
comunicarle grazie al proprio talento oratorio o grazie all’opera di diffusione
di allievi e membri della propria scuola, assumeva uno straordinario potere
morale presso il popolo. Il rovescio della medaglia era la paura di questo
potere da parte dei governanti, che non di rado istruivano processi sommari con
accuse pretestuose, calunniose o montate ad arte, per poter condannare a morte
i filosofi più scomodi, come nel caso emblematico di Socrate.
Alcune città greche, e Sparta più di
ogni altra, vietarono le pubbliche dissertazioni di questioni filosofiche per
evitare scontri verbali promotori di disordini sociali tra fazioni o, come dice
Ateneo: “A causa della gelosia, della lotta e della discussione senza profitto
cui esse davano origine” (Atenae XIII, 92)[3].
Ma non fu così ad Atene: “Ma nell’Atene di Pericle la «cara delizia» della
filosofia soggiogò la fantasia delle classi colte; i ricchi aprirono le loro
case alla maniera degli illuministi francesi; i filosofi furono trattati con
ogni riguardo e le discussioni brillanti ricevettero lo stesso applauso che era
suscitato da un colpo maestro ai Giochi Olimpici”[4].
Quando nel 432 si aggiunse una guerra di
armi a quella di parole, ogni sobrietà di pensiero e cautela nel giudizio delle
tesi degli avversari fu abbandonata e ad Atene si viveva come una febbre di
sapere che rendeva tutti appassionati ricercatori del vero e del giusto, con
opinioni diverse ma sulla base di alcuni saldi valori condivisi. Riprendiamo Durant:
“La febbre ebbe una breve tregua dopo il martirio di Socrate, anche perché si
diffuse ad altri paesi del mondo greco; anche Platone, che aveva conosciuto il
momento culminante della crisi del pensiero greco si esaurì dopo sessant’anni
del nuovo gioco e invidiò l’inviolabile ortodossia dell’Egitto e la calma
stabilità del suo pensiero. Fino al Rinascimento nessuna età conobbe un simile
entusiasmo intellettuale”[5].
Un nucleo di verità, sia pure un po’
manipolata, si può ricavare dai paralleli tipici dell’insegnamento attuale
della storia della filosofia: Platone si contrappose a Parmenide così come
Hegel si contrapporrà a Kant[6];
una schematizzazione didattica che aiuta a ricordare e suggerisce un filo
interpretativo utile al primo approccio ma, al di là del fatto che la reale comprensione
della dimensione del pensiero antico richiede uno sforzo cognitivo e un
bagaglio culturale non comune, ciò che più ci colpisce e ci interessa è che le
controversie tra filosofi diventavano, in quei giorni, materia di riflessione
personale oltre che di dibattito pubblico: ad Atene la gente comune si poneva i
quesiti dei filosofi e discuteva anche ai mercati della natura degli dei, dei
rapporti tra ragione e morale o di quanto fosse giusto adottare un pensiero
utilitaristico, in barba agli scrupoli e agli dei. Tutto ciò contribuiva a mantenere
sveglie le coscienze.
Nell’Età di Pericle, come diceva
Giovanni Reale, sono “messe a tema” questioni che, con l’ellenizzazione dell’Europa
da parte dei Romani, rimangono aperte nella cultura del Vecchio Continente per
un paio di millenni: il senso e il mistero del sapere, la distinzione tra
noumeno e fenomeno, tra realtà visibile e realtà invisibile; questioni che
rimangono in filigrana durante il Medioevo e all’inizio dell’età Moderna, per
riemergere in Kant nella forma di una vera rivoluzione filosofica. Ma siamo già
all’inizio dell’epoca in cui le questioni filosofiche diventano materia
specialistica per una cerchia ristretta di persone colte. Nei giorni di Atene
questi argomenti erano come i fatti di cronaca nei nostri giorni; per questo ci
interessa il loro pensiero, ma soprattutto il loro pensare. Si pensava ai
grandi problemi che fanno da sfondo o in cui sono immerse le operazioni cognitive
di significazione e senso, così come ci si occupava dei problemi
pratici che si imponevano all’attenzione nella vita quotidiana.
In Lucania, nella piccola città di Elea,
nel 450 a.C. nacque quella filosofia idealistica che si diffonderà fra
tutti i popoli d’Italia e d’Europa nei secoli seguenti e condurrà una battaglia
plurisecolare contro il materialismo. Le nostre esigenze ci impongono di
non attardarci sui pur affascinanti contenuti di questa filosofia e di limitarci
a rilevare un tratto antropologico: molti degli interpreti dell’idealismo erano
preoccupati della deriva che avrebbe potuto portare una fede assoluta e generalizza
nel materialismo e, di fatto, hanno dato un contributo quali custodi dei grandi
presidi di civiltà radicati nel costume e nelle leggi.
Per rimanere ai paralleli scolastici, si
dice che, come Kant fu “ridestato” dalla lettura del pensiero di Hume, così
Parmenide fu risvegliato dalla filosofia di Senofane. In realtà, sono le
questioni poste in gioco da Senofane (570 a.C. – 475 a.C.), che aveva insegnato
nella città di Elea e dimorato a Zancle (Messina) e
poi a Catania, che si impongono come problemi non risolti a tutte le menti consapevoli
e inclini a conoscere, in quel periodo che comincia con la filosofia di Parmenide
e culmina nell’edificio di pensiero di Platone. Ma, cosa dice Senofane? Critica
l’antropomorfismo religioso di Omero ed Esiodo e senza mezzi termini afferma
che gli dei non esistono: sono miti creati dagli uomini o uomini mitizzati,
perché Dio in realtà è uno, infinito e onnisciente. Anche se questa definizione
è una sintesi di quanto afferma Diogene Laerzio su Senofane, trova conferma nelle
parole che lui stesso scrive in alcuni preziosi documenti[7].
Non è difficile riconoscere un anticipo di quel conflitto di visione che molti
secoli dopo emerge tra le credenze politeistiche dei Romani persecutori e il
credo monoteistico dei cristiani perseguitati.
Il deficit di pensiero e coscienza
nelle società contemporanee favorisce l’emergere di comportamenti non fondati filosoficamente,
poco giustificati in termini razionali e spesso distruttivi.
Non è raro sentire, quando si propone se non un ritorno al modello greco almeno
una speciale attenzione, che si dica: “Non è più possibile dopo Wittgenstein
ritornare a una ragione artigiana come quella dei dialoghi socratici di Platone”.
Essere passati attraverso Wittgenstein
vuol dire essere avveduti delle trappole che la lingua parlata e il suo uso
possono tendere a uno sviluppo logico e coerente del pensiero. Vuol dire
aggiungere uno strumento alla concezione della realtà da parte del soggetto,
non impiegare quel pensiero come evidenza di una complessità del reale che
fornisce una scusa alla rinuncia a pensare, capire e agire in conseguenza delle
proprie idee. Wittgenstein diceva che l’insieme dei fatti costituisce il
mondo, non che il mondo è un fatto ineluttabile al quale bisogna
indefinitamente adeguarsi. Il problema dell’aver sostituito la forma del politically
correct alla sostanza di avere una propria etica è solo la conseguenza del
generale aver rinunciato alla coscienza e alla riflessione sul senso di sé e
della vita, così come al diritto e al piacere di scegliere la priorità dei
valori cui ispirare le azioni quotidiane, per seguire passivamente le mode, le
tendenze, i contagi collettivi che, di fatto, sono legati sempre a interessi
materiali, quali motori all’origine o quale prodotto-effetto della diffusione
massificata e globalizzata.
L’abbaglio circa il valore delle nuove
filosofie nate sul finire del Novecento[8] e
ancora considerate fenomeni del pensiero contemporaneo da non includere nei
programmi scolastici, è costituito dall’effetto di novità, che ha in sé il
valore e la potenza di uno stimolo, di una scintilla luminosa e, per qualcuno,
abbagliante al punto da non far vedere che non si tratta di filosofie intese
come sistemi di pensiero, ma solo di teorie del rapporto tra cognizione
e realtà. D’altra parte, non pochi sviluppi ideologici del pensiero
post-moderno si erano arenati nell’impasse di contemplare sé stessi nell’opera
distruttiva di quanto rimaneva del già diroccato edificio della ragione hegeliana,
oppure erano approdati a un nihilismo distruttivo di senso e valori; dunque,
non rimaneva che farsi bastare ciò che era servito dal “prodotto mediatico-comunicativo”
quale “prodotto delle aziende del sapere”. Ciò che, nel presente, sembra non
essersi esaurito di questo stato di fatto, è la vis destruens
centrata sul paradosso di distruggere il mondo, inteso come cose prodotte dall’uomo,
per eliminare un modo sgradito in cui il mondo si conduce: no global e
black bloc.
Anche un bambino capisce che l’iniquità
sociale non è nella diffusione globale del sistema politico economico imperante
e peraltro già diffuso, ma nel potere economico che calpesta ogni valore
ideale, a partire dal rispetto dell’altro e dalla solidarietà fino all’abolizione
della superiorità simbolica del trascendente filosofico, religioso e artistico
sulla materialità monetizzabile. L’azione dei no global mediante la
tecnica dei black bloc si è di fatto esaurita nel loro reale obiettivo:
la rappresentazione mediatica delle proprie gesta. Un’inchiesta giornalistica
europea ha mostrato, qualche anno fa, dei no global fare il bagno in
piscine di alberghi di lusso prima di indossare le tute nere e prendere le spranghe
per andare a distruggere vetrine, portoni, finestre e allestimenti di negozi. L’inchiesta
mostrava tutti i segni distintivi di coloro che si sentono padroni per potere
economico e sono di fatto schiavi felici di un sistema consumistico che dicono di
voler combattere.
C’è da chiedersi se questo residuo nel
Terzo Millennio della distruttività terroristica ideologica di fine Novecento possa
considerarsi un ulteriore esempio di forma dell’agire slegata dalla sostanza
del senso e indifferente alla mancanza di fondamento razionale. [Fonte:
Seminario Permanente sull’Arte del Vivere BM&L-Italia, maggio 2024].
Notule
BM&L-11 maggio 2024
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Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Percy Bysshe Shelley, On the Manners of the Ancients cit. in
Livingstone, Legacy 25.1, (IV Edition) S. W. Partridge & Company,
London 1928.
[2] Will & Ariel Durant, Storia
della Civiltà – Will Durant, La Grecia (3 voll.), vol. II, p. 120, Edito-Service,
Ginevra e Mondadori, Milano 1968.
[3] Cit. in Will Durant, La Grecia (3 voll.),
vol. II, op.
cit., idem.
[4] Cfr. Platone, Protagora, pp. 334 e 339, cit. in Will Durant, op.
cit.
[5] Will Durant, La Grecia (3
voll.), vol. II, op. cit., idem.
[6] Un altro abusato paragone è
quello tra la diade antica Aristotele-Platone e quella moderna Kant-Hegel, con
riferimento alla somiglianza nelle differenze teoretiche esistenti tra i due
antichi e i due moderni.
[7] Si vedano, in particolare, i
brani riportati in Diels-Kranz (a cura di Gabriele
Giannantoni), Presocratici, I, p. 171 e seguenti, Laterza, Bari 2009.
[8] Si fa riferimento al funzionalismo
di Jerry Fodor e Hilary Putnam, al fisicalismo dei
tipi, al fisicalismo delle occorrenze, alla teoria dell’identità
dello stato centrale, ecc.